Essere o non essere: questo è… o meglio era un problema
Essere o non essere: questo è… o meglio era un problema.
Che dire, se l’Amleto fosse stato scritto oggi, questa domanda avrebbe suscitato molto sarcasmo e poche domande. Eppure dire che l’uomo non abbia domande vorrebbe dire negare la realtà: si parla di tutto, di ogni minima cosa, dal tempo alla politica, dei “problemi della società” (scuole, immigrati, droghe leggere, sesso, rock and roll), degli animali, degli uomini che sfruttano animali, di genere, di specie, di transpecie (non sto scherzando) e chi più ne ha più ne metta; e per ognuna di queste problematiche fiaccano risposte, alcune totalmente inconciliabili, alcune assurde, altre fantastiche; siamo talmente pieni di opinioni, di “certezze”, di soluzioni che ne abbiamo fatto indigestione, sperando presto di poterle vomitare almeno una buona parte.
Eppure mi sembra che si sia smarrito qualcosa… ma questo QUALCOSA mi intimorisce, come fossi una formica davanti all’Everest, non perché non abbia il coraggio di tentare la traversata, ma perché nel compierla avrei il terrore di dimenticare qualche fattore, una qualche scarpata nascosta che mi rivelerebbe un crepaccio, una strada più facile da percorrere per arrivare in vetta o uno squarcio della montagna che potrebbe rivelare un panorama unico del creato…
Poiché credo che il caso non esista, anzi, come mi sembra disse il cardinal Biffi, «il caso è la veste che Dio indossa per non abbagliarci con la gloria della Sua onnipotenza», ecco che, accingendomi a scrivere questa prima “scheggia”, provvidenzialmente mi ritrovai in mano un testo di un filosofo che mai avevo avuto il piacere di leggere, Gustavo Bontadini, docente di filosofia teoretica all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Ora, che diavolo c’entra Bontadini? Sarebbe una domanda più che legittima.
Di per sé nulla.
Anzi, non vorrei che il rimando a questo pensatore possa far pensare male: qui non si vuol parlare di filosofia, almeno non intenzionalmente. Solo che in questi appunti quell’uomo solleva un problema, una domanda, che a primo avviso potrebbe sembrare la più astratta possibile: che cos’è l’essere?
All’inizio anche io, filosofo dilettante, mi son sentito non dico abbattuto, ma un po’ provato da tale argomento. Che vorrà dirmi quest’uomo, quali sbrodolature vorrà farmi ascoltare? Mi ha salvato la mia avarizia: avendoci speso dei soldi, non potevo pensare di non sfogliare almeno alcune di quelle pagine, almeno per far “rendere” quell’acquisto.
Quelle pagine non contenevano nulla di nuovo per me, dopotutto il Bontadini rifletteva la stessa “scuola di pensiero” da cui provengo io (Chiesa Cattolica). Eppure la lettura di quelle pagine mi ha riaperto un problema, uno che forse potremmo collocare tra quelli sopra menzionati: davanti alla vita dell’uomo d’oggi, mossa, spinta, condizionata da agenti interni (emozioni, desideri, sogni, prospettive, aspettative, sensazioni, dolori ecc.) e da agenti esterni (società, lavoro, doveri, obblighi, diritti, tasse, impegni, malattie ecc.), dovendo comunque l’uomo trovar risposte alle situazioni attuali, ma anche a quelle sempre presenti, su che cosa, dove l’uomo può trovare un appiglio, una roccia, un fondamento per non affondare, un porto dove rifocillarsi e poter ripartire?
Alla fine, signori, i vari problemi si riducono a pochi, se non a uno. Infatti, per poter parlare in modo adeguato degli immigrati, dell’educazione giovanile, del sesso, della politica, della società e via discorrendo si dovrà pur avere un metro, una base unica che permetta di considerare tutto nella giusta misura? Ovvio, non voglio apparire semplicista o ingenuo: a ogni caso si dovrà applicare un criterio adeguato (una cosa è l’educazione e un’altra è la politica) altrimenti si commettono errori ancora più grandi.
Ora, non vorrei neanche affermare che la soluzione di tutto si trova nella risposta alla domanda su cos’è l’essere, perché allora si che cadrei nell’astrattismo più puro (anche se la mia “scuola di pensiero” la risposta l’ha trovata 2016 anni fa).
Quello che vorrei suscitare negli animi è però la domanda: quale fondamento può permettere di affrontare in modo adeguato la vita nelle sue più piccole sfaccettature? Non si può vivere a compartimenti stagni, perché ogni uomo è uno, non di più. Se l’uomo vuole essere serio, integro (cosa assai rara di questi tempi) allora deve buttar giù delle fondamenta, e soprattutto buone fondamenta. La ricerca del sesso e piacere più sfrenato, la logica del soldo e del guadagno ad ogni costo, il successo politico fine a se stesso possono davvero rispondere adeguatamente a tutte quelle domande di cui è pervaso l’uomo? Io personalmente non credo sia possibile né consigliabile; alla fine “quale vantaggio ha l’uomo se guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?”
Alla fine, in questa nostra epoca, in queste nuove generazioni, la mia compresa, manca proprio questo, cioè manca l’appoggio, manca quell’oggetto verso il quale si vuol far muovere la propria vita, la mente, la carne, tutto, il vortice di Paolo e Francesca descritto da Dante penso simboleggi perfettamente questa confusione; perchè tutto sembra andar bene, ma anche il suo contrario, basta che la maggioranza o il politically correct lo indichino come nuovo valore e allora nella brodaglia contemporanea va bene tutto. La cosa ancora peggiore, e lo sperimento quotidianamente, è che se anche lo si trova, lo si scorge tra le mille intemperie sociali e personali, non ce la si fa a rimanerci attaccati come si dovrebbe e vorrebbe. Effetto di quel terribile fenomeno ormai dimenticato chiamato peccato originale? Io credo di si.
Eppure ritengo che qualunque persona, qualsiasi motivazione uno abbia, debba non solo trovare quell’oggetto, quel fondamento, quel X, ma che debba con tutti gli sforzi possibili, anche facendosi aiutare, cercare di ancorarsi ad esso, per non affondare, per sapersi orientare e per saper direzionare la vita verso una meta.