Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea

Viene affermato nella Evangelii gaudium che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (47: 1039). È vero, l’Eucaristia, il Santissimo Sacramento, il Pane del Cielo non è per coloro che si credono perfetti, non è elargito a coloro che si credono arrivati, è dono eminentissimo, dono sommo, Gesù Cristo, per coloro che vogliono entrare nella Vita.

Sbaglieremmo nel credere però che ciò possa significare che questo dono sia concesso incondizionatamente, una sorta di paradossale dono a tutti i costi. No.

Esso, proprio in quanto dono, necessita di essere accettato, accolto, ospitato. È un dono di comunione da parte di Cristo, della comunione in Cristo, dell’essere assimilati al Suo Corpo e al Suo Sangue, dell’essere divinizzati, del diventare un altro Cristo. Per poter accedere a questo dono, occorre prima desiderarlo, quindi domandarlo chiedendo di poter conoscere Cristo, soggetto e oggetto di questo dono, cioè di poter essere tutt’uno con il Conosciuto, tutt’uno con Lui.

È proprio ciò che significa comunione, unione di persone, essere uniti con la sua Persona.

Questo tipo di partecipazione unitiva, questa qualità di ospitalità e di donazione di sé Cristo, l’ha riservata per i Suoi, per coloro che appartengono a Lui, che sono effettivamente nella comunione con Lui, i suoi discepoli, i suoi amici, coloro che Lo amano.

Per amare Gesù Cristo, Egli stesso istituisce una circolarità tra amore e osservanza («Se mi amate, osserverete i miei comandamenti», «Chi accoglie i miei comandamenti, questi mi ama») la cui paradossalità viene spezzata, poiché trascesa, dalla Sua stessa persona, «Rimanete in me e io in voi», «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. […] Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi.», «Rimanete nel mio amore», «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi».

Gv14-15,16 Se mi amate, osserverete i miei comandamenti. […] Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui. […] Rimanete in me e io in voi. […]  Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. […]   Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.  Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.  Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.  Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga.

Egli per primo diede ai suoi amici Sé stesso, «Prese il pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi e per molti, in remissione dei peccati, fate questo in memoria di me”». Questa ospitalità, questa unità, questa donazione di Sé l’ha riservata per coloro che lo amano, i Suoi e per coloro che saranno con loro uniti in Lui.

Una ricezione impropria di tale dono, senza il desiderio, l’intenzione, la volontà di essere di Cristo adeguatamente, di amarlo in verità e nella verità, senza cioè domandare che ci vengano lavati i piedi sporchi[1], senza domandare e implorare il perdono per il male compiuto, pensato, covato, commesso per omissione, senza la confessione dei peccati, ricevere questo dono significa tradirlo previamente, da principio, è un tradimento che impedisce di essere in comunione con Lui. È un sacrilegio, una dissacrazione e perciò un mangiare la propria condanna:

1Cor11,26-29 Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga. Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.  Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice;  perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.

Giuda era tra i Suoi, partecipò all’Istituzione dell’Eucaristia, mangiò il Suo corpo, bevve il Suo sangue avendolo già tradito nel suo cuore. La rottura dell’amicizia con/di Gesù giunge fino all’interno della, tra coloro che fanno parte della comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre e nuovamente ci sono persone che prendono “il suo pane” e lo tradiscono[2]. “Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di me il suo calcagno” (Sal 41,10; Sal 55,14).

Balthasar afferma che il peccato è la violazione di qualcosa che riguarda la mia più intima personalità e che il comandamento è in funzione «del rapporto d’amore» in cui Dio ci rende partecipi della Sua divinità: «Siate santi perché io sono santo». Il tradimento di Cristo, il prendere il Suo pane e tradirlo, molto di più quindi rende le ombre del peccato più oscure e profonde, e Balthasar non esita a definirlo una «violazione del mistero del cuore stesso di Dio».

In fin dei conti, il nucleo è questo: la colpa non deve continuare a suppurare nascostamente nell’anima, avvelenandola così dall’interno. Essa ha bisogno della confessione. Mediante la confessione la portiamo alla luce, la esponiamo all’amore purificatore di Cristo (cfr Gv 3, 20s). Nella confessione il Signore lava sempre di nuovo i nostri piedi sporchi e ci prepara alla comunione conviviale con Lui.
Benedetto XVIGesù di Nazareth vol. **

È indubbio che il dono di Comunione di Gesù non sia pensato per i perfetti. Ciò è vero. Non sono i perfetti i destinatari di questo dono che Dio fa di sé a noi nel Corpo di Cristo.

Esso infatti è pensato per i puri di cuore, gli umili, i poveri in spirito, coloro di cui viene detto “essi vedranno Dio”.

I puri di cuore, coloro che hanno consapevolezza della propria piccolezza, della propria debolezza, della propria limitatezza, della propria povertà e del male di cui sono capaci così da poter domandare al Signore salvezza, redenzione, perdono, comunione.

Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea.

Come diventa puro il cuore? Chi sono gli uomini dal cuore puro, che possono vedere Dio (cfr Mt 5,8)?

È la fede che purifica il cuore. Essa deriva dal volgersi di Dio verso l’uomo. Non è semplicemente una decisione autonoma degli uomini. La fede nasce, perché le persone vengono toccate interiormente dallo Spirito di Dio, che apre il loro cuore e lo purifica. […] È la sua parola che penetra in loro, trasforma il loro pensiero e la loro volontà, il loro «cuore» e lo apre in modo che diventi un cuore che vede.

«Consacrali nella verità» – la verità è […] il «lavacro» che rende gli uomini capaci di Dio: è questo che Gesù ci fa qui capire. In essa l’uomo deve essere immerso, affinché sia liberato dallo sporco che lo separa da Dio […].

Il lavacro che ci purifica è l’amore di Gesù – l’amore che si spinge fino alla morte. La parola di Gesù non è soltanto parola, ma è Lui stesso. E la sua parola è la verità ed è l’amore […].

Nella fede cristiana è proprio il Dio incarnato che ci purifica veramente ed attira il creato nell’unità con Dio. La devozione dell’Ottocento ha poi di nuovo reso unilaterale il concetto di purezza, l’ha ridotto sempre di più alla questione dell’ordine nell’ambito sessuale, inquinandolo così anche nuovamente col sospetto nei confronti della sfera materiale, del corpo. Nella diffusa aspirazione dell’umanità alla purezza, il Vangelo di Giovanni – Gesù stesso – ci indica la via: Egli, che è Dio e insieme Uomo, ci rende capaci di Dio. Lo stare nel suo corpo, l’essere penetrati dalla sua presenza è la cosa essenziale […].

L’uomo da sé non può rendersi capace di Dio, a qualunque sistema di purificazione egli si attenga. «Voi siete puri» – in questa parola meravigliosamente semplice di Gesù è espressa, in modo quasi riassuntivo, la sublimità del mistero di Cristo. Il Dio che discende verso di noi ci rende puri. La purezza è un dono. [È] il nuovo fondamento dell’essere che ci viene donato. La novità può derivare soltanto dal dono della comunione con Cristo, del vivere in Lui.
Benedetto XVIGesù di Nazaret vol. **

[1] «Solo se ci lasciamo ripetutamente lavare, “rendere puri” dal Signore stesso, possiamo imparare a fare insieme con Lui ciò che Egli ha fatto. Ciò che conta è l’inserimento del nostro io nel suo (“non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”: Gal 2, 20)».
Benedetto XVIGesù di Nazaret vol. **

[2] «”Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede” (Sal 41,10). La rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono «il suo pane» e lo tradiscono».
Benedetto XVIGesù di Nazaret vol. **

Francesco Tosi: 1986 Rimini, avevo così voglia di vivere che sono nato prima di nascere (al quinto mese), poi ho continuato a nascere e rinascere nel corso della mia vita, in spirito, acqua e sangue.
Filosofo per forma mentis e formazione, letterato e Teo-filo per passione, editore digitale per professione, fanno di me un cultore del verbo e servitore della parola (altrui).
Autore di tesi di laurea su un cardinale della Chiesa Cattolica, ex gesuita, von Balthasar, e su un letterato anglicano, Lewis che hanno in comune una visione teo-drammatica dell’esistenza, sto ultimamente dilettandomi nella loro revisione e pubblicazione.