Con Cristo il velo del tempio si squarcia da cima a fondo: è aperto l’accesso a Dio

Nessuna risalita a Dio è possibile all’uomo. All’uomo è possibile solo rimanere ancorato, saldato, fondato in Colui che ci ha aperto la via a Dio poiché egli stesso è Dio, il Figlio coeterno al Padre, da lui generato e non creato.
La persona umana (come quella angelica) è creatura e in quanto tale non può risalire oltre sé stessa oltrepassando il legame creaturale. Tra lei e Dio c’è un salto ontologico non comprensibile, cioè di cui non è possibile abbracciare tutti i confini con nessuna nostra facoltà. Altrimenti saremmo Dio. Come per la conoscenza di Dio (l’entrare e il restare in rapporto con Lui, in Lui e con Lui) così per l’amare Dio, l’amare come Dio ci comanda di amare è una realtà che ci è possibile perché Dio è venuto ad abitare e per abitare in mezzo a noi e per restare in noi stabilmente. Come ciò è possibile? Il sacramento per eccellenza con cui siamo inabitati da Dio è l’Eucaristia. Tutti gli altri sacramenti derivano da questo che è pienezza di realtà, essendo pienezza di corpo sangue anima e divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.
Il Magistero afferma che è possibile conoscere con la sola ragione l’esistenza di Dio ma non del Dio della Rivelazione, non del Figlio del Padre che ci ha svelato il Padre perché è a Lui consustanziale. Io inoltre stavo già presupponendo la non piena comprensibilità, cioè esaustione, della Trinità unico Dio.
È paradossalmente più semplice comprendere un Dio a cui non si ha accesso, che non si è reso accessibile, formandolo a nostra immagine e somiglianza che invece un Dio misterioso che è uno pur in tre persone, che si incarna pur rimanendo eterno e consustanziale a sé stesso, che può donare totalmente sé stesso ai suoi durante l’ultima cena pur essendo ancora tra i suoi.
È paradossalmente più semplice comprendere un dio filosofico di cui è possibile predicare con la sola ragione precedente la Rivelazione solo poche realtà che invece il Dio che si rivela e che entra in rapporto con l’uomo e che rende possibile di essere ospitato dentro l’uomo,
ovvero di portare l’uomo dentro Dio.
«Il Nuovo Testamento – dagli Atti degli Apostoli fino alla Lettera agli Ebrei – facendo riferimento al Salmo 110,1 descrive il «luogo» in cui Gesù è andato con la nube come un sedere (o stare) alla destra di Dio. Che significa questo? Con ciò non si allude ad uno spazio cosmico lontano in cui Dio, per così dire, avrebbe eretto il suo trono e su di esso avrebbe dato un posto anche a Gesù. Dio non si trova in uno spazio accanto ad altri spazi. Dio è Dio – Egli è il presupposto e il fondamento di ogni spazialità esistente, ma non ne fa parte. Il rapporto di Dio con tutti gli spazi è quello del Signore e del Creatore. La sua presenza non è spaziale ma, appunto, divina. «Sedere alla destra di Dio» significa una partecipazione alla sovranità propria di Dio su ogni spazio.
In una disputa con i farisei, Gesù stesso dà al Salmo 110 una nuova interpretazione che ha orientato la comprensione dei cristiani. All’idea del Messia quale nuovo Davide con un nuovo regno davidico – idea che poco fa abbiamo incontrato nei discepoli – Egli contrappone una visione più grande di Colui che deve venire: il vero Messia non è figlio di Davide, ma Signore di Davide; non siede sul trono di Davide, ma sul trono di Dio (cfr Mt 22,41-45).
Il Gesù che si congeda non va da qualche parte su un astro lontano. Egli entra nella comunione di vita e di potere con il Dio vivente, nella situazione di superiorità di Dio su ogni spazialità. Per questo non è «andato via», ma, in virtù dello stesso potere di Dio, è ora sempre presente accanto a noi e per noi. Nei discorsi di addio nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice proprio questo ai suoi discepoli: «Vado e vengo a voi» (14,28). Qui è meravigliosamente sintetizzata la peculiarità dell’«andare via» di Gesù, che al contempo è il suo «venire», e con ciò è anche spiegato il mistero riguardante la croce, la risurrezione e l’ascensione. Il suo andarsene è proprio così un venire, un nuovo modo di vicinanza, di presenza permanente con la quale anche Giovanni connette la «gioia» di cui sopra abbiamo sentito parlare nel Vangelo di Luca.
Siccome Gesù è presso il Padre, Egli non è lontano, ma è vicino a noi. Ora non si trova più in un singolo posto del mondo come prima dell’«ascensione»; ora, nel suo potere che supera ogni spazialità, Egli è presente accanto a tutti ed invocabile da parte di tutti – attraverso tutta la storia – e in tutti i luoghi. […]Per che cosa ha ringraziato Gesù? Per l’«esaudimento» (cfr Ebr 5,7). Ha ringraziato in anticipo del fatto che il Padre non lo avrebbe abbandonato alla morte (cfr Sal 16,10). Ha ringraziato per il dono della risurrezione, e in base ad essa già in quel momento poteva dare nel pane e nel vino il suo corpo e il suo sangue come pegno della risurrezione e della vita eterna (cfr Gv 6,53-58).
Possiamo pensare allo schema dei Salmi di voto, in cui l’oppresso annuncia che, una volta salvato, ringrazierà Iddio e proclamerà l’azione salvifica di Dio davanti alla grande assemblea. Il Salmo 22, applicabile alla passione, che comincia con le parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», termina con una promessa che anticipa l’esaudimento: «Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano» (vv. 26s). Di fatto – ora questo si realizza: «I poveri mangeranno» – essi ricevono più del nutrimento terreno, ricevono la vera manna, la comunione con Dio nel Cristo risorto.
Naturalmente, queste connessioni si sono rese chiare ai discepoli solo passo passo. Ma a partire dalle parole di ringraziamento di Gesù, le quali conferiscono alla berakha giudaica un nuovo centro, la preghiera di ringraziamento, l’eucharistía, si rivela sempre di più come il vero modello influente, come la forma liturgica nella quale le parole d’istituzione hanno il loro senso e si presenta il culto nuovo che sostituisce i sacrifici del tempio: glorificazione di Dio nella parola, ma in una parola che in Gesù si è fatta carne e ora, a partire da questo corpo di Gesù che ha attraversato la morte, coinvolge l’uomo intero, tutta l’umanità – e diventa l’inizio di una nuova creazione. […]
Possiamo dunque pregare per la venuta di Gesù? Possiamo dire con sincerità: «Marana tha! – Vieni, Signore Gesù!»? Sì, lo possiamo. Non solo: lo dobbiamo! Chiediamo anticipazioni della sua presenza rinnovatrice del mondo. In momenti di tribolazione personale lo preghiamo: Vieni, Signore Gesù, e accogli la mia vita nella presenza del tuo potere benigno. Gli chiediamo di rendersi vicino a persone che amiamo o per le quali siamo preoccupati. Lo preghiamo di rendersi efficacemente presente nella sua Chiesa.
E perché non chiedere a Lui di donarci anche oggi testimoni nuovi della sua presenza nei quali Egli stesso s’avvicini a noi? E questa preghiera, che non mira immediatamente alla fine del mondo, ma è una vera preghiera per la sua venuta, porta in sé tutta l’ampiezza di quella preghiera che Egli stesso ci ha insegnato: «Venga il tuo regno!» Vieni, Signore Gesù! […]»
Benedetto XVI – Gesù di Nazaret vol **
Immagine tratta da:
metmuseum.org
Francesco Tosi: 1986 Rimini, avevo così voglia di vivere che sono nato prima di nascere (al quinto mese), poi ho continuato a nascere e rinascere nel corso della mia vita, in spirito, acqua e sangue.
Filosofo per forma mentis e formazione, letterato e Teo-filo per passione, editore digitale per professione, fanno di me un cultore del verbo e servitore della parola (altrui).
Autore di tesi di laurea su un cardinale della Chiesa Cattolica, ex gesuita, von Balthasar, e su un letterato anglicano, Lewis che hanno in comune una visione teo-drammatica dell’esistenza, sto ultimamente dilettandomi nella loro revisione e pubblicazione.